E’ il 6 febbraio del 2012. Siamo in autoambulanza. Diamantino,
sfinito dal viaggio, si è addormentato. Il suo faccino scuro spicca pallido tra
le coperte. Stringe tra le mani la macchinina che gli abbiamo regalato.
Sembra
così piccolo nella sua giacca a vento. Piccolo e spaurito.
Lo guardo e mi commuovo. Poso la mia mano sulla sua, delicatamente
per non svegliarlo. Lo guardo e penso alla pena dei suoi genitori e a quanto
lui debba sentirsi impaurito. Sento che è una grossa responsabilità, so che non
sarà facile, ma sento anche che ne vale la pena. Con l’aiuto di Dio, sono certa
che ce la faremo.
Ma facciamo un passo indietro:
Diamantino è un bellissimo bimbo di 5 anni che viene da uno dei
paesi più poveri del mondo: la Guinea Bissau. É affetto da una cardiopatia
congenita chiamata Tetralogia di Fallot (la combinazione di quattro difetti cardiaci presenti fin
dalla nascita). Il suo paese non ha strutture in cui poterlo operare. Se non verrà
curato, morirà prima di diventare adulto. Con l’operazione, invece, potrà
vivere una vita normale.
Sono molti i bambini con problemi al cuore in Guinea Bissau. A
volte, purtroppo, sono bimbi nati sani ed ammalatisi in seguito: lo
streptococco non curato con antibiotici causa la degenerazione delle valvole
cardiache.
Patologie che da noi sono scomparse da anni ma che, nel terzo mondo,
mietono ancora troppe vittime.
Io e Fabio ci siamo conosciuti proprio in Guinea Bissau e quel paese
c’è rimasto nel cuore. E’ nata una profonda amicizia con Oscar, che lavora lì
da vent’anni, e che ci ha fatto conoscere la realtà dei bambini cardiopatici.
Con l’aiuto dell’amica Patrizia, ha fatto operare la prima bimba al
Cardiocentro di Lugano. L’esito è stato
positivo ed ora i bimbi vengono operati anche in Spagna, Portogallo ed a
Milano. Sono già più di cento quelli ai quali è stata data una nuova speranza.
Un giorno in una fredda sera d’inverno, abbracciati sul divano
davanti al caminetto acceso ci siamo domandati perchè non provare a prendere i
contatti anche con l’Ospedale Borgo Trento di Verona per vedere se era possibile
operare i bambini nella nostra città.
“E perchè non prendiamo noi il primo bambino?” salta su Fabio
staccandosi dall’abbraccio e guardandomi dritto negli occhi.
La cosa mi entusiasma ma mi spaventa anche un po’!
Il coinvolgimento emotivo, la fatica di aiutare un bimbo senza
stravolgere troppo il suo modo di vivere, sapendo che deve rientrare a casa e
reinserirsi in una cultura totalmente diversa dalla nostra. La paura di
affezionarsi troppo e poi vederlo andare via...
Ma Fabio è un “caterpillar” e niente lo ferma se ha un’idea in
testa.
Due amici medici ci mettono in contatto con la cardiochirurgia di
Borgo Trento e la nostra “avventura” ha inizio.
L’amico Mirko, anestesista, si è offerto di accompagnarmi a Malpensa
con l’autoambulanza dell’associazione nella quale fa’ servizio: Porto Emergenza. Partiamo verso
le 14,20 assieme a Davide e Giacinto, due veterani delle autoambulanze.
L’arrivo è previsto per le 16,30 circa e, nonostante il brutto tempo, il
viaggio scorre senza intoppi.
Ho portato una giraffa ed un elefante giocattolo, ma Mirko entra
veloce in un negozio e ne esce con una bella macchinina per Diamantino.
Diventerà il suo gioco preferito durante la permanenza in Italia.
Attendiamo il suo arrivo, per un po’, all’uscita sbagliata poi ci accorgiamo che sul tabellone non c’è
scritto il suo volo e cambiamo postazione.
L’aereo è appena atterrato. Il tempo necessario per prendere le
valigie poi si aprono le porte e lo vediamo uscire assieme ad altri due ragazzi
che verranno operati in Svizzera, al Dottor Alberto ed a Patrizia che li hanno
accompagnati.
Sono tutti stravolti dal viaggio, Diamantino ha anche un po’ di
febbre. In Aeroporto a Lisbona ha vomitato. Ha il viso emaciato e i suoi
occhioni passano da un volto all’altro domandandosi, probabilmente, in che
posto strano è finito.
Io parlo il Kriolo, il dialetto del suo paese, quindi cerco di
tranquillizzarlo e di dirgli che ora saliremo in autoambulanza ed andremo a
casa mia. Lo faccio parlare al telefono con Fabio che ha conosciuto a Bissau
alcuni mesi or sono. Sentendo una voce amica Diamantino si rianima. Scopro
anche che nella sua famiglia lo chiamano con un soprannome: Tò e che il nome
Diamantino è solo quello dei documenti.
Da questo momento, quindi, sarà Tò per tutti.
Saliamo sull’autoambulanza e Davide lo sistema sul lettino, lo copre
con una coperta e lo lega. Giacinto gli regala il suo cappello di lana perchè
il freddo è pungente e poi si mette alla guida.
Per un bel pezzo Tò si guarda attorno e non parla poi la stanchezza
ha il sopravvento e si addormenta.
Lo guardo e mi sento un po’ strana anch’io. Tenerezza, apprensione,
senso di responsabilità... Tutto si accavalla nel mio cuore e nella mia mente.
Quasi non riesco a credere che sia veramente qui.
Mando alcuni sms agli amici più cari che ci sono vicini e ci
sostengono e in un attimo siamo a casa.
Fabio e le bimbe (Elisabetta, Francesca e Federica di 13, 11 e 8
anni) ci aspettano in giardino. C’è
anche Roberta, nostra cognata, che starà da noi alcuni giorni. Tò sorride per
la prima volta quando vede Fabio e gli salta in braccio.
Salutiamo Mirko, Giacinto e Davide ed entriamo in casa. Il dottore
mi ha suggerito di non fargli il bagno questa sera a causa della febbre, quindi
lo cambio velocemente e gli mostro la casa ed il suo lettino.
Lo abbiamo sistemato nella nostra camera matrimoniale in modo da
poterlo seguire costantemente. Non vuole mangiare niente e non lo forziamo.
Lui mi prende per mano e mi tira verso la camera, sale sul suo
lettino facendoci capire che vuole dormire.
Lo copriamo con la trapunta e due coperte e gli mettiamo anche un
cappellino di pile perchè lo hanno rasato prima di venire in Italia e non è
certo abituato a queste temperature invernali.
Che tenerezza! Io e Fabio rimaniamo per un po’ abbracciati a
guardarlo e ci commuoviamo. É un po’ come rivivere l’arrivo delle nostre bimbe.
La sensazione di posare lo sguardo su un volto che ti sembra di conoscere da
sempre ma che, allo stesso tempo è nuovo, tutto da scoprire e da imparare ad
amare. La consapevolezza di essere di fronte ad un essere indifeso che devi
proteggere. Sentire che è affidato a te!